martedì 31 maggio 2011

Tijuana e San Diego



Data reale 24 maggio

Tijuana fa paura. E non nel senso “wow, da paura”.
No fa paura.
Saranno tutte le cose che ho sentito, sarà perché tutti erano preoccupati per me e per questo passaggio.

A Tijuana ho avuto paura.
Scesa dal bus la stazione era enorme, il terminal di tutte le compagnie. E son tante.
Tanta gente, troppa dopo un viaggio così lungo.
Non sono stravolta, non come ci si sarebbe potuti aspettare dopo 27 ore. Nonostante l’impegno dell’esercito messicano non sono proprio devastata.
La stazione dei bus è nel bel mezzo del nulla con cartelli che ti avvisano di non fare una serie di cose perché ritenute muy peligrose:
-          Non prendere taxi non autorizzati
-          Se non sai come riconoscere i taxi autorizzati chiedi a qualcuno (oh! E se qualcuno è un malvivente? Gosh)

Riesco a prendere un taxi autorizzato comperando un tagliando prepagato per la mia destinazione.
Fa un caldo porco, altro che giubbotti.
Arriviamo al confine.
Ma … scusa … dov’è il confine?
Non posso portarla più avanti señorita!
Ah ecco …. E …. Dov’è?
Là in fondo señorita!
L’unico “infondo”che vedo è infondissimissimo.
Là?
Si mira là!
La’. A piedi.
Scesa dal taxi mi aggrediscono una dozzina di tassisti come le locuste nei film dell’orrore. Cercano di prendermi la valigia, lo zaino offrono di portarmi al confine, oltre al confine, a San Diego a Los Angeles.

AAAARGGGH!! EbbBasta no?

Improvvisamente mi ricordo le indicazioni della galu per il mio arrivo all’aeroporto.
E inizio a dire a tutti “No, gracias. Vienen par mi”
Abracadabra! Alakazam e pure un po’ di zippidoodayeah! Pouffff!
Svaniscono. Tacciono. Stan fermi.

Mi incammino non sapendo bene dove dev ….. OUCH!
L’ho capito adesso. Dietro tutti questi che aspettano in piedi al sole di mezzogiorno.
Ah no, qui son le 11. Come avevo già preannunciato non ci avevo capito una cippa.
Un’ora di fila. Durante la quale mi è passata accanto, davanti e sotto agli occhi la corte dei miracoli.
Zoppi, storpi, mendicanti, venditori di qualunque cosa.
Ci sarebbe stato anche qualcosa da fotografare ma non ho osato estrarre la fotocamere.
Sono nervosa e il tempo non passa mai.

Nella terra dimezzo tra un cartello che dice “Territorio americano” e il vero e proprio confine un’altra lunghissima fila.
Sui muri ogni genere di avvertimento.
Ci sono ventordicimila cose che se scoprono che le hai fatte o fai (forse pure farai chissà) possono farti trattenere dalle forze dell’ordine o trascinarti in prigione e/o espellerti dagli States forever.

Urca! E se ho fatto qualcosa che non so di aver fatto non sapendo di non poterla fare? Aiuttt!

In questo preciso istante ho la sensazione di aver fatto un terribile errore con questo viaggio, so che è la paura che parla ma …
Cartello:
“I cani stanno lavorando. Non cercate di toccarli, accarezzarli o parlare con loro”
E chi li tocca? Sono enormi e minacciosi! Si potrà strillare se ti spaventano?
Che ci faccio qui?
Un due tre … respira. Un due tre … respira. Un due tre … respira.

Uhm no. Non funziona. La saliva a zero.
Ecco tocca a me.

“Mornin’ M’am”
Gli porgo il passaporto, lo apre e mi guarda negli occhi.
Cosa ti porta a San Diego Cristina?
Wow! Servizio personalizzato anche per la security?
E’ carino, nel senso di gentile.
Mi fa qualche domanda.
Ho risposto bene, pare perché rendendomi il passaporto mi dice
“Welcome to America cristina, enjoy your stay!

Esco.
No. non esco.
Bagagli ai raggi ics.
I miei bagagli si suicideranno prima di arrivare a milano. O moriranno di radiazioni.
Esco.
Adesso davvero esco.
Dopo un altro pezzo di eternità esco.
Faccio un bancomat per avere dei dollari, vedo il trolley che porta a San Diego ma cedo ad un taxi.
Scopro stupidamente perché il tram senza alcun cambio mi avrebbe portata praticamente a due blocks dall’albergo.
Ma sono stanca, provata, ho caldo ed ho sete.
Ci mettiamo una eternità.
Una strada a sei corsie. Per lato.
Arrivo alla reception del Motel 6 pregando che, pur essendo presto, mi lascino fare il check in ed entrare in camera.
Per fortuna sì.
Motel 6, piano 3, stanza 309. Per chi conosce la mia mania a proposito di numeri è una combinazione fantastica. Bene!
L’hotel è super basico. Forse più del travelodge.
Ma ci devo solo dormire, c’è una tv grande e l’aria condizionata.
Faccio una lunga doccia, mi vesto leggera ed esco alla scoperta di San Diego.
Alla cieca. Mai fatto in vita mia.
E’ tutto così grande qui!
Sarà che sono sulla 2nd Avenue e quindi downtown ma la larghezza delle strade, l’altezza degli edifici mi fan sentire piccola. Proprio piccola piccola.
Persino gli alberi son grandi.
Fuori dall’hotel, ma scoprirò che sono dovunque qui, c’è un albero con i fiori viola.
Non glicine o ciclamino e neppure lilla. Son viola. Sono bellissimi e creano una particolarissima macchia di colore in giro per la città.
Ho bisogno di fare una cosa con l’homebanking e chiedo dove posso trovare un internet cafè o qualcosa del genere.
La receptionist, carinissima, mi guarda come se le avessi chiesto dove possa trovare la fermata del tram a cavalli.
Mi spiega che in albergo c’è il wifi. Ed è gratis.
Sì ma non ho il pc.
Può farlo con il telefono.
No il mio telefono non naviga. Non sa nuotare.
Il mio telefono telefona. Che cosa cretina vero?

Ora mi guarda come se IO fossi un tram a cavalli. O una aliena.
C’è, le pare, un unico internet bar giù nella Broadway ma scoprirò andandoci che il sistema oggi è crashato e non se ne riparla sino a domani.
Putain!

Mi guardo intorno ed è tutto davvero troppo grande. Bellissimo ma troppo grande.
Troppo grande se ti senti piccola.
La sensazione che avevo nel non voler andare a New York da sola ora diventa una certezza. Non ci si può andare da soli.
Mi correggo. IO non ci posso andare da sola.
Mi guardo intorno un po’ stordita. Non ho studiato.
Non so nulla della città, dei trasporti pubblici, cosa sia dove. Cosa valga la pena di essere visitato.
E senza rete sono perduta.

Compero i biglietti per i mezzi 1 day pass per oggi e un pass 2 days per quando ritorno venerdi e sabato.
Vedo una specie di caffè che non è uno dei mega ristoranti che ho visto sino ad ora. Troppo eleganti e sicuramente troppo costosi.
E non è una catena di fast & junk food.
E’ un caffè parigino (oh ma com’è che sono in america latina e non e casco sempre sulla grancia?).
Prendo un panino semplice e una birra.
Merda! Questi son proprio dei barbari. DAI la fetta di limone nella birra no cazzo. Non è manco la Corona, da bravi!
Pfffffffff
Arriva il ….. panino?
Un mostro enorme di pane e bandierine con la caesar salad di fianco.
Ah sì lo dicevano che qui è tutto con insalata accanto.
Ok, lo affronto!

Mi sento molto meglio dopo aver mangiato.
Esco, vedo Macy*s e mi si illuminano gli occhi.
Entro ed inciampo subito nel reparto skaters.
I prezzi sono ridicoli e le cose bellissime.
Ma è passato il tempo in cui potevo scegliere qualcosa per filippo andando sul sicuro.
Tshirrt, camicie e scarpe le so. Ma il resto no.
Ci sono dei bermuda meravigliosi e anche dei costumi che gli piacerebbero come foggia e marca ma sono tutti estremamente fantasiosi (per non dir bizzarri). Son belli ma tutti esagerati e non che a filippo dispiaccia ma occorrebbe sapere come scegliere il “troppo” che si adatti a lui.
Mi arrendo.

Oh! Il mio primo giorno in America. In città, facendo cose, girando. La notte in Michigan son stata rinchiusa nell’albergo di siessai.
Alterno l’entusiasmo con il disorientamenti.
Tutti i commessi di macys sorridono, chiedono come stai e se possono aiutarti.
E’ solo il loro mestiere ma ti fa piacere. Ti chiedono cosa fai, da dove vieni.
Non mi disturba anzi mi conforta perché son tante ore che non parlo con nessuno, e per tante non ci parlerò.
Il cellulare va a 1 € al minuto, impensabile.

Compro qualcosa.
Cerco, poi, nelle taglie balena. Ma non c’è nulla di adatto. Come cazzo si vestono gli americani? Sgrunt!

Abercrombie. Non ci sono mai entrata a Milano. Mi imbarazza tutto e troppo.
Le tshirts costano il corrispondente di 28 € ma mi fanno schifassimo e non so neppure se a fil piacerebbero. Le lascio lì.
Vado in un drugstore ed ho un turbamente nel vedere il frigorifero delle cocacola.
La cocacola alla vaniglia? Alla ciliegia? Macccheschifo!!!
Cerco un paio di cose che mi servono e in un attimo di leggerezza compero un nuovo rossetto.

Il negozio è stranamente caldo, l’aria condizionata evidentemente funziona male.
Mi sento cedere le gambe. Beh grazie al “paese militarizzato” non ho praticamente dormito.

Qui le persone indossano i loro badge per strada. Tutti.
Tanti accattoni.
Tante, troppe persone che dormono per terra. Tra la generale e totale indifferenza.
Una sorta di paura sottile mi attraversa. Sicuro la stanchezza sta giocando la sua carta.
Torno in albergo a riposare. Mi sembra tardissimo ma in realtà son solo le 16 ora locale.

I capelli stan cedendo la tinta. Sono praticamente castana. Qualcuno ne sarebbe felice!
Il viso non è più pallido.
Il rossetto color caffè mi sta bene.
Allora divento leziosa e mi sistemo mani e piedi e metto lo smalto color cioccolato.

Mi faccio coraggio e alle 7 esco.
Il bus “sotto casa” è l’11 e passando da downtown arriva in un posto chiamato Skyline Hill.
Mi pare una meta promettente, almeno per la vista.
Prendo il  bus ed è stranissimo.
E’ come se all’improvviso mi trovassi a paperopoli  e vedessi gente che guida la 313 e il deposito sopra alla collina.
Il bus è esattamente come quelli dei film.
Solo che io guardo quelle cosine light tipo CSI, Criminal Minds, Bones, Dexter e quindi sui bus succedono sempre e solo cose orribili.

La popolazione è scarsa. Come di notte nei famosi telefilm.
Arriva la signora nera, anzianotta come la classica idea che abbiamo della Mami.
Ragazzi latinos con pearcing e tattos. E i pantaloni sotto alla mutande.
Ho qualche timore ma poi decido che basta!
Mi godo il viaggio e il panorama.
Eccheddiamine!

Sale un signore nero. Si vede che è anziano anche se non saprei dargli un’età.
Sotto alla giacca e sopra i jeans si vede un grembiulone blu. Fa sicuramente un lavoro umile. E faticoso, Si vede che è stanco.
Ha la barba bianca come la neve. Il pizzo, veramente, sagomato strano e quando mi rivolge la parola li vedo gli occhi.
Azzurrissimi, chiari, color dell’acqua. Dolci.
Mi chiede se mi secca che apra il finestrino. No non mi secca anzi mi fa piacere.
E’ un bell’uomo, fiero ma tenero.

Da quel punto in poi  saliranno persone che si conoscono e chiamano l’autobuSSSSista per nome.
Come nei film! (l’ho già detto lo so ma che ci posso fare se son caduta dentro ad una televisione??)

Passiamo di fianco ad un posto dove ci sono moltissime persone in fila.
Una cosa che in questi giorni mi ha colpito è la serenità con cui gli americani si sottopongono ai controlli di sicurezza. Che, a onor del vero, sono proprio in un sacco di posti.
Sono lì in fila e vengono passati tutti con il metal detector portatile quindi entrano da un tornello a raggi. Di quelli che ti lasciano entrare ma non uscire.
Vabbè dai. Un tornello.
Salendo si vede via via più panorama della città, più lontano.
Ho fatto bene a scegliere questo giro.
Verso la parte alta della collina ecco … Wisteria Lane!
File di casette singole a 2 piani, il grande garage con il vialetto di fronte per il parchettio. La veranda e il giardinetto. La bandiera. La bandiera? Sì la bandiera. La maggior parte delle case ha la bandiera in giardino …
Vedo il sole tramontare dalla cime della collina ed è una bella sensazione.

Al ritorno siamo passati dallo stadio (ecco cos’era quel posto con la fila e i tornelli!).
E’ illuminato a giorno. Il Baseball. Non ho mai visto uno stadio per il baseball. E’ fatto a metà come un teatro greco. Le luci sono fortissime e anche le voci che gridano “home run” qualsiasi cosa significhi.
La squadra locale è i San Diego Padres.

In periferia si sono quella specie di gabbiotti dove dopo il lavoro le persone vanno a giocare a basket. E accanto dei giardini con tavoli e panchine di pietra per giocare a scacchi.

Scendo alla 4th Avenue a vado all’Hard Rock Cafè.
Qui sulla tshirt vado sul sicuro e, giacchè ci sono, ne prendo una anche per me. Visto che qui le vestono le balene.

La tipa dello store è semplicemente detestabile.
Invece il mio cameriere “Bobby B” è molto simpatico e gentile.
A parte che mi chiama sweety e già questo sarebbe abbastanza per farmelo piacere.

Mi chiede cosa faccio qui da sola.
Lui è Estone ed ha lavorato in un sacco di Hard Rock sparsi per il mondo. Tranne l’oriente. Non gli interessa l’oriente.
Abbiamo parlato dell’Italia, del lavoro e dell’economia in Europa.
Gli dico che è il mio primo giorno in america e mi dice che va celebrato, quindi mi offre una birra.
A dirla tutta mi aveva anche chiesto di aspettare che finisse di lavorare per andare a bere qualcosa insieme altrove. Ma non me la sento.

Alle 10 sono in albergo e schianto addormentata con la tv che trasmette uno dei miei serial preferiti del quale ho visto forse 3 minuti e la sveglia puntata alle sette e mezza. Ho un bus da prendere domattina!


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