lunedì 2 maggio 2011

Comunicazioni



Devo avvisare la galullo che non arrivo questa sera.
Il cellulare mi risponde in inglese e spagnolo che il numero non esiste. Come non esiste? C’moooooooon!
Non esiste, nada. Non c’è verso.
Provo a chiamare casa in Italia. No. Non posso fare questa telefonata.
Provo a chiamare il cellulare di Umberto. (rumore di pulsantone di risposta sbagliata) no, neppure questa.
Provo a chiamare Filippo. YES! Telefono e operatori telefonici selettivi? Ma che è?
Lo avviso che ho perso l’aereo, lui ridacchia mi chiede se sto bene. Gli chiedo di chiamare suo padre e chiedergli di chiamare la Galullo ( a casa ho lasciato il suo numero per qualsiasi necessità).
Invece mi squilla il telefono ed umberto mi dice che il numero è inesistente.
Controlla sulla mia mail il messaggio originale della Galullo, forse ho sbagliato a trascriverlo.
Dagli la password. Spiegagli la password mentre vado verso l’uscita non avendo ben capito dove diavolo sia lo shuttle o cosa si devo fare con questi foglietti “hai vinto qualcosa a Detroit a spese nostre ma adesso ci devi leggere, brutta pirla”.
Mi richiama dicendo che il numero è sbagliato.
No non può essere sbagliato, mi viene una illuminazione: non è che è il prefisso internazionale del Messico ad essere sbagliato?
E come facciamo?
Non so resto qui a morire sdraiata sul corridoio A di Detroit mentre la Galullo si arrostisce aspettandomi in un posto dove non arriverò mai?
Mi richiama, ha controllato su internet. In effetti è cambiato.
Ora, ma come cazzo fa a cambiare un prefisso internazionale così, bimbumbam ….
Meglio smettere di chiedere, di chiedersi. Comunque le ha parlato e vorrebbe darmi il numero nuovo. No adesso no, ci sentiamo più tardi.
Nel frattempo la tre mi manda un messaggio che ho quasi esaurito il credito. Ecco appunto.
E il telefono, dalla sua, mi dice che ha quasi finito la batteria.
Le batterieeeee!!! Noooo. Il carica telefono è in valigia. Le valigie sono da qualche parte in aeroporto.
Ho solo l’alimentatore del comput … nooo! Non ho l’adattatore.

Non è vero, dai non ci credo. Vado nel negozio più vicino (i dieci chili sempre sparsi addosso).
I gate nei quali sto amorevolmente passeggiando ormai da una eternità sono quelli di partenza, non di arrivo.
Quindi tutti i convertitori che si trovano sono DA americano A europeo. A loro non serve convertirsi la propria corrente. Questa dotta spiegazione mi viene fornita da una signorina che per pura cortesia mi aveva chiesto come stavo (lo fanno tutti nei negozi, scoprirò) e alla quale avevo risposto sconsolata che non stavo affatto bene.
Gentilissima mi dice che forse al negozio ad A60 posso trovarlo.
Sono ad adieciiii ….
Faccio un respirone e mi avvio ma tenacemente provo ed entrare in tutti i negozi per sbattere la faccia sul fatto che è davvero come dice lei. Il convertitori sono tutti l’opposto di quel che mi serve.
Devo arrivare a quel Gate, e poi tornare al 10.
Vorrei piangere ma so che è inutile quindi lascio perdere.

Trenta dollari, trenta minuti e trentamila passi dopo sono di nuovo in procinto di lasciare l’aeroporto.
Senza valigie.
Per fortuna ho avuto l’illuminazione di portare qualcosa tipo un cambio completo e qualcosa di emergenza.
Niente di lavante o deo- profumante. Ma insomma meglio che restare con questi vestiti che ormai sono stracci.

Garda che è ben strana l’america eh?.
Il Ground Transportation Centre – un nome altisonante per un corridoio grigio pieno di pulmini di ogni colore e tipo dei quali non si capisce una cippa – è al quarto piano.
Ground, quarto. No. Non ho la forza per domandarmi figuriamoci per rispondermi.

Quale sarà adesso il mio shuttle? Qui è tutto farcito, ripieno, brulicante di shuttle.
Chiedo ad un addetto. Mi fa ridere che mi chiamino M’AM come fa Horatio Caine in lingua originale in siessai maiemi!
Mi dice che quelle due persone là, le uniche ferme in piedi in mezzo a bus e minivan vuoti, stanno aspettando per il Best Western.

Ah beh! Adesso sono rincuorata.
A Detroit c’è un vento che non è caldo, sarà anche che io son talmente accaldata e sudata che i capelli mi gocciolano. Un accidenti no eh? Ti prego!

La signora che aspetta mi sorride e mi chiede “Quale volo le hanno fatto perdere?” ah ecco, quindi anche lei ha perso un volo.
Sì. Da Albany doveva andare a Denver a trovare suo figlio per due giorni, il weekend. Così, invece, partirà domattina presto e tornerà domani sera. Come direbbe mio figlio, uno sbattone allucinante!

Un ragazzo con l’aria torva e una corporatura decisamente imponente passeggia nervosamente sul marciapiede.
Sta telefonando al Best Western per sapere dove accidenti sia lo shuttle.

La signora, alla quale in tre minuti ho raccontato tutta la mia vita, mi dice che è molto dispiaciuta che il mio primo approccio all’america sia stato così traumatico. E mi augura di passare uno splendido soggiorno in Messico.

Sullo Shuttle il ragazzone si scopre, origliando la sua telefonata – dai origliando! C’è poco da origliare siamo in un mini-van a nove posti. Come si fa a non sentire quel che dice? – insomma si scopre che lui abita a Denver e che aveva i biglietti per il match di football americano della squadra locale. Scopro più tardi essere i Broncos.

Scendiamo dallo Shuttle e andiamo alla reception. La signorina ci molla le chiavi elettroniche. Sento gridolini a decibel impossibili e sembrano urla di bambini.
No. Non sembrano. Sono.
Il nostro albergo ha una piscina al centro della enorme hall che è in realtà una corte sulla quale si affacciano le camere. Piante, fontane, un bar, tavoli da biliardo, una vascona ad idromassaggio nella zona piscina e tanti tanti tanti bambini che schizzano, si tuffano, strillano.

Ok ce la posso fare. Dai. Sono le quattro e mezza ora di Detroit. Non so più per me che ore siano. Troppe, sono troppe. Il cellulare è quasi morto e il credito esaurito.
La mia camera à la 1031 e cerco senza grande fortuna di trovarla vagando un po’ imbambolata per questa specie di giardino d’inverno. Il ragazzone ha la 1035. Guarda la mia chiave ed esclama “Oh! Siamo vicini di stanza” … boh si vede che le mettono accanto a numeri strambi.

Troviamo le stanze e mi fermo alla 1031, mi saluta e mi augura buon riposo.
Lui va tre porte più in là ed entra.

La mia cazzo di chiave elettronica non apre, porca merda. Mi sento mister Bean.
Poi mi assale un dubbio e ricontrollo il numero che la signorina ha scritto a mano sul porta chiave.
Uno zero tre uno. Mica son scema.
No, non apre.

Ma vuoi vedere che …. Potrebbe essere un 7 senza zampetta? E inclinato a mo’ di 1?
Vado titubante alla 1037, in effetti accanto alla 1035, e provo ad aprire.
Non ce l’ho fatta al primo tentativo ma questo perché era complicato il sistema.
Ma vaff sti americani. Una roba normale, regolare, senza stranezze e complicazioni no eh? Pure il sette come l’uno mi scrivono. Shit!

Ok ci sono. Adesso mi posso fermare e fare mente locale su cosa ho, cosa mi manca, cosa sta succedendo.
Suona il cellulare, la galullo onestamente preoccupata per quel che mi sta accadendo. “Stai bene formica? Sicura di star bene?”
Sì sto bene un po’ come la frutta frullata ma sto bene.

Wow! La stanza è da paura.
Un letto King Size con cinque cuscini, divanetto, poltrone, tavolini.
Ooooh! La parete esterna della stanza è di vetro. Porte a vetri. Che danno sulla hall.  Sono a piano terra.
Mi vengono in mente tutti i serial TV americani dove qualcuno arriva da queste stramaledette porte finestra e ne fa di cotte e di crude.
Ho immaginato i siessai di cui già parlato, ispezionare la scena del crimine.

In bagno c’è una piccola macchina per caffè americano, due confezioni per 4 tazze caf & decaf con il filtro già riempito di caffè e sigillato. Lo apri, lo stendi et voilà: caffè americano in america.
Fa ridere, quindi me lo farò.
Mi faccio anche una bella doccia e mi lavo per b …

No, aspetta. Tutto questo sfarzo ventordici cuscini, stanza enorme e tu cosa mi dai per lavarmi? Due saponette di due centimetri quadrati?
Non chiedo più se sia uno scherzo o meno. Ho capito che qui gli scherzi non li stanno facendo. E’ tutto un grande scherzo ed io ci sono dentro sino al collo.

Quindi dovrò lavare la mia cubatura più la testa con due saponettine. Ok farò anche questo.

I capelli lavati con il saponino una volta asciugati sembrano quelli di mafalda. Quando è spettinata.
Senti ma chissenefotte. Almeno mi son tolta di dosso quel sudore appicicaticissimo.

Ho fame, il ristorante apre alle cinque ma a me sembra di non mangiare da una vita.
Vado e ordino una bistecca americana con il purè. E una birra, Boston qualcosa.
La Boston qualcosa è molto buona quindi facciamo 2.

Mammamia come sa d’america questa bistecca! Il locale è strano, potrebbe essere divertente vederlo con la sua fauna abituale ma sono solo le cinque e qualcosa e sono da sola con un paio di pensionati.
I bambini in piscina strillano senza smettere un attimo.
Gli attacchi di “erodiade” nelle ultime 24 ore o sono 30? beh  bohOre sono stati molteplici, devo ammetterlo!

Ceno, oppure pranzo … dopo merenda con bistecca americana vado letteralmente ad annusare l’aria di america.
C’è un forte vento, agita le bandiere, quella americana e anche quella è canadese.
Come ho già puntualizzato ho imparato che Detroit è vicinissimo al canada.

Faccio due passi giusto per respirare aria vera e non condizionata, pressurizzata, purificata, riciclata.
Vento e sole che non sta proprio tramontando ma già si sente odore di serata.

Di fronte e intorno non c’è nulla. Solo alberghi e i relativi parcheggi.
Le targhe!
Naaaaa le targhe sono uno spettacolo e in un attacco compulsivo mi metto a fotografare tutte quelle che posso.

Poi la stanchezza e l’idea che dovrò alzarmi alle 3 per prendere lo shuttle delle 4 mi suggeriscono di andare in camera.

Passo per i distributori automatici per prendermi l’acqua per la notte e vedo la Root Beer. Noooooooooo
La root beeeeeeeeeeer, la beve sempre il padre di Peter in Fringe!
La voglio anche io!
E la compero, per la modica cifra di 2 dollari. Beh l’acqua ne costa 1,5 mica me l’hanno regalata.

Scoprirò che la root beer fa non schifo, ma molto molto molto di più. Ed è rimasta aperta ma intatta sul comodino di fianco al letto king size.

Chiudo le tende sulle mie porte finestra alla siessai, controllo che la porta sia chiusa e mi sento catapultata nel telefilm di Dexter.
Mi addormento schiantata tra le urla dei bambini in piscina.

Nel pieno del sonno mi sveglio di colpo. Non so dove sono. Non riconosco nulla anche perché è buio pesto e in tutti i posti in cui potrei dormire ci sono le persiane.

Dove sono?
Oddio non l’ho sognato! Sono a Detroit, USA.
Sto dormendo in America. Alla faccia delle canzoni che celebrano il fatto che non si dorma mai ….

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