Un lato della casa è fatto di grandi finestroni scuri che si affacciano sul ballatoio che a sua volta guarda sulla piccola corte con la piscina (adesso, piscina, andiamoci piano: è una vasca piastrellata di azzurro e blu anche con bei decori, ma è grande come due tinozze e l’acqua è ferma con polvere, qualche insetto e foglioline che galleggiano beatamente).
Nonostante questo c’è una famigliola di genitori con tre bambine, di cui una piccolissima, tutte le sere ci fa il bagno.
La pavimentazione e le scale sono di una pietra rosa che ricorda il colore delle dolomiti, dello Sciliar. Tutto mattoni, piastrelle e sole a picco, senza pietà.
C’è un unico albero nella corte che si appoggia ad una delle piccole ringhiere.
La casa ha due livelli: il piano terra e il primo piano.
Noi siamo d’angolo.
Dal lato cortile le finestre non permettono di vedere nulla perché sono oscurate. È il lato dal quale si dorme.
Affacciandosi dal finestrone della camera da letto e dalla finestra dove c’è l’angolo cucina ci si immerge in una casetta tipica. E per tipica intendo povera.
Un unico piano, muri color terra di un materiale bugnato tutti a bozzi. Intorno è tutta sabbia. Quella fine, quella ocra, quella del deserto.
Sul tetto la cisterna dell’acqua. Non oso neppure pensare quanto si scaldi e quanto possa venire deteriorata dal sole battente l’acqua.
Nelle case un po’ più moderne le cisterne sono sottoterra quindi più fresche e protette dal sole.
Un grande albero, che fa una piccola ombra anche a noi, che sembra di limoni invece è di arance. Non commestibili.
Qui è tutto strambo. I limoni son verdi o arancio. I limoni gialli come li conosciamo noi qui li chiamano limoni reali e servono solo ed esclusivamente per decorazione. Non si vedono limoni reale qui al Pueblo.
Le arance sono gialle, non proprio giallo limone ma certo non arancioni.
Però pare che l’albero qui di fronte abbia il profumo delle zagare in primavera.
Il “giardino” del vicino è un enorme sterrato di terra sabbiosa. Una pignata appesa ai rami dell’arancio piena di colori e nastri che gira in continuazione mossa dal vento.
Sì perché qui, bene o male, un po’ di vento, di aria mossa c’è sempre.
La brezza dell’Oceano, dicono. E quella del mar di Cortez.
Anche all’interno di questa lingua infuocata, dove c’è il deserto c’è comunque sempre il vento. Quello è un vento caldo, a tratti bollente.
E’ proprio questo vento che fa del posto il paradiso dei surfisti.
Questa notte il vento faceva sbattere i rami dell’albero sulla mia finestra rompendo il silenzio assoluto che c’è intorno.
Silenzio e buio. Che non è un buio pesto. E non perché ci siano illuminazioni che arrivano dalla città o dalle attrazioni. Non è troppo buio.
Le sagome si intravedono anche quando è notte.
Il tramonto e l’alba hanno dei colori unici.
Quel rosa del mattino e rosso della sera del sole che si allunga sulla terra assetata creando delle lingue di colori impossibili.
Di quando in quando trovi una pianta di ibisco, alta, selvaggia, evidentemente non curata.
Da sola ha vinto la sua battaglia contro il deserto e l’arsura.
La bouganville è ovunque. Qui la chiamano buganvilla con la doppia ll che suona come una i prolungata.
Io la ricordo ovunque in liguria e mi fa strano immaginare che questo clima possa favorirne la crescita.
Eppure è ovunque. Come siepe non come rampicante.
Qui sotto alla pianta il lunedi vengono dei ragazzi che fanno giocoleria e numeri acrobatici.
Mettono a terra dei materassini da yoga e si allenano, si lanciano, cadono, lavorano, sudano, ridono.
Li ho guardati curiosa e ammirata.
Talvolta non ti rendi conto di quanto lavoro, esercizio e tenacia ci vogliano per arrivare ad alcuni risultati.
La Green Apple è la palestra del quartiere.
Fa ridere da morire. Perché la palestra è una specie di piazzetta di pietre rosa e le “stanze” per le lezioni sono angoli di muro coperti da una tettoia di paglia.
Al muro, perfetti, gli specchi, la sbarra, un quadrato di parquet grande abbastanza per parecchie persone.
Dove non c’è la tettoia si affacciano degli alberi che creano altra ombra.
Qui si fanno le lezioni di Zumba alle quali la Galullo è iscritta tre volte alla settimana.
Sono andata a vederne una, ieri sera. E’ allegra, con musica bella, sicuramente faticosa. Ma ho deciso di iscrivermi.
Guardavo le donne fare questa sorta di danza-ginnastica ed avevano il viso felice, la gioia di muoversi e i movimenti sinuosi che siamo abituati a vedere dalle sudamericane.
Una sensualità naturale, di nascita. Anche quando il fisico non è perfetto. Hanno la sensualità nel sangue.
Il movimento inserito di fabbrica come requisito base e non come optional.
Mi sto abituando all’ora e anche alle abitudini della mia tocaya (questo è il modo con cui si chiamano persone con lo stesso nome) anche se oggi è arrivato un gran caldo.
Mi dicono tutti che il vero gran caldo è davvero peggio: diciamo che questo è un bell’esercizio.
Questa sera ho mangiato il mango affettato con del “chile” sparso sopra.
Stranissimo ma buono.
Oggi il caldo mi ha un po’ provata.
Vedremo domani.
Cri, mi pare di capire che ti stai divertendo un mondo :)
RispondiEliminaSono molto contenta, dai tuoi racconti traspare molto bene...non ti nego che provo un po' di invidia
Sono luoghi che fanno mozzare il fiato, ricordo molto bene..
Ti abbraccio
Nano :)
Nanoooo! Ce l'hai fatta a postare il commento.
RispondiEliminaSono così orgogliosa di te!
Un bacio grande e un abbraccio stritolante.
latuacri