(immagine gentilmente offerta da Google)
Ho portato in Messico perline e cordami per fare un po’ di collane.
Per impegnare qualche tempo morto e cercare di far rendere qualcosa a questa vacanza.
Le famose perline che hanno fatto bloccare la mia valigia in aeroporto. La mia valigia piena di diamanti! A ripensarci adesso fa ridere ma quel giorno, dopo la notte passata in Michigan, la levataccia, il caldo e l’attesa delle valigie, i 30 chilometri da Cabo all’aeroporto fatti 4 volte … insomma era stato un bel trauma.
In casa non si riesce ad annodare in pace. Rotoli di corda, fili che si muovono e perline che suonano e, a volte, rotolano sono un mix esplosivo per la gatta di casa.
Quindi aspetto che lei dorma per “aprire bottega” ma non è un tempo prevedibile. E’ come un rato o un ratito.
Martedi, ho unito il fatto di dover uscire di casa per la presenza di Olga (sempre santa olga) per lavorare un po’.
Quindi ho accettato l’offerta di Inès – l’argentina dello strèss, che gestisce una pizzeria in centro, di utilizzare la parte sopra, che di giorno è libera, per fare i miei lavori.
Ho sempre visto la pizzeria da sotto e non sono stata a studiare il tetto.
Si vedevano luci e sedie e una tettoria. Sembrava con una palapa, un tetto di paglia come dappertutto qui.
Quindi ieri alle dodici e mezza, orario fresco e poco assolato, la galu mi ha accompagnata in pizzeria ed ha spiegato al pizzaiolo che sarei stata sul tetto.
La faccia del pizzaiolo era tutto un programma.
Porto armi e bagagli sopra al tetto e … ecco. La palapa non c’è.
La tettoia è una specie di pergola a travi. E tra le travi il sole passa. A strisce.
Cerco striscioline d’ombra, ma a mezzogiorno è difficile.
Sentivo il sole in viso e sulla pelle ma di tanto in tanto la brezza del mare, vicinissimo, smorzava la sensazione di caldo.
Era strano avere tra le mani le cose che conosco così bene e che ho sempre e solo usato sul tavolo di casa mia e trovarmi all’aperto con il profumo dell’aria di mare e i rumori del dietro le quinte dei negozi.
Guardare in strada non visti è divertente. Fa un po’ finestra sul cortile.
Vedi l’avanti e indietro delle persone che vanno verso la spiaggia o, più probabilmente, verso la loro barca. Riconosci da lontano i viaggiatori della love boat che si guardano intorno un po’ spaesati e sono pieni di pacchi e pacchettini perché hanno svaligiato le bancarelle del Flea Market o dei più classici negozi di souvenir.
L’omino della frutta.
I messicani sono tendenzialmente pigri. E con questo caldo come dar loro torto?
Quindi la frutta la mangiano già pulita e tagliata da qualcun altro.
Ci sono questi banchetti con le ruote, memorie di quando ero piccina al sud, e lui che con un metodo dal quale non riesco a distogliere lo sguardo, taglia pulisce e taglia la frutta con una perizia che stenti a credere.
Qui la questione “igiene” è importante. Perché l’acqua non si può bere, perché se ti lavi le mani poi devi far bene attenzione di asciugarle perché l’acqua porta “bestiole”.
Anche la polvere, la terra, la sabbia della strada.
Quindi occorre cautela.
E l’omino della frutta con una pinza di plastica gialla, quelle tipo degli spaghetti, e un coltellaccio taglia la frutta senza mai, e dico MAI, toccarla con le mani.
Volta e rivolta i frutti dalle forme diverse e ne crea delle striscioline che velocemente inserisce in un grande bicchiere di plastica. Con una speciale attenzione all’assortimento dei colori, alla posizione, a farcene stare quante più possibile. Quindi magari tagliando ulteriormente una fetta di frutta per meglio posizionarla tra le altre.
E poi il bicchiere viene coperto da un sacchetto di plastica trasparente al contrario, che gli fa da tappo e protegge la frutta da tutti gli agenti esterni.
E lui taglia e cambia i colori. Mango, papaya, anguria, mela verde e qualche altro frutto che non conosco.
Qualche avventore arriva di tanto in tanto. Accanto a lui una sedia pieghevole e malconcia sulla quale effettua il “servizio al tavolo”.
E si fanno quattro chiacchiere, lui e il cliente. Mentre lui non smette un secondo di tagliare.
Le collane che sto intrecciando sono tutte sui toni del giallo, arancio e marrone. Un po’ perché devo scegliere una nuance alla volta per non portarmi tutto quanto e un po’ perché questi sono i colori di qui.
Non ho stupidamente portato nulla di blu da Milano. Ci sarebbe stato.
Le mani, anche le mie, vanno da sole. Mentre invento qualcosa che ogni volta è diversa dalla precedente. Perché non sono capace di copiare me stessa e neppure lo voglio, in realtà.
E tiro i fili perché siano pari, perché i nodi siano gradevoli anche agli occhi.
E l’aria profuma di mare e ogni tanto una folata della brezza dell’oceano mi fa fare un gran respiro e mi rinfresca un po’.
L’omino dei chicharrones mi fa sempre un po’ impressione. Ne ha di tutte le fogge e di tutte le misure.
Ed ha sempre la fila di chi aspetta di avere la sua razione di quella roba fritta che viene guarnita con salse dai colori che sicurono iniziano tutti per Equalchecosa. Rossi inesistenti in natura, rosa quasi fosforescenti. E tutti, grandi e piccini, ma i piccini di più, ne mangiano a piene mani in ogni momento del giorno.
Sul tetto accanto al mio c’è un tizio che lo dipinge di colori diversi.
I colori in messico sono pazzeschi. Ci sono colori che non immagineresti mai per una casa o un negozio o una parete. Il rosa messico è una sorta di fucsia che c’è solo qui. E l’arancio carico, scuro. Il verde.
Questo bianco bianchissimo che non sai come faccia a restare così immacolato.
E loro dipingono i muri. Non li pitturano. Li dipingono. Come fossero quadri, come fossero murales.
E il tetto di fianco prende colore. La base del tetto bianca. L’interno del muretto sopra il tetto è arancio. La parte alta, sottile del muretto è gialla forte.
Arriva musica salsa, arrivano le cumbia, e i piedi sotto al tavolo fanno una specie di balletto castigato.
Quindi annodando annodando son passate quattro ore. Ed ho fatto tre collane e mezza.
In pizzeria sono andata con una maglietta a mezze maniche un po’ scollata e senza crema solare.
Non è che uno va ad annodare collane con la protezione solare, no?
No certo.
E’ così che adesso ho l’abbronzatura da magütt, mezzo braccio rosso, la parte alta delle braccia chiara, mezzo decolletè fucsia e il viso color pomodoro maturo.
Beh posso dire che mi sono uniformata ai colori tipici del luogo.
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